sallusti/il pezzo
Qui sotto c’è il pezzo per il quale, in qualità di direttore responsabile, Alessandro Sallusti è stato condannato oggi con sentenza definitiva a quattordici mesi di reclusione, pena sospesa.
Leggetelo fino in fondo, anche quando vi si attorciglierà lo stomaco, per favore.
Decidete voi se è questo è un articolo giornalistico.
Decidete voi se c’entra la libertà di espressione, o se in questo pezzo non siano stati tutti trattati come se non fossero esseri umani, ma personaggi di una tragedia il cui autore aveva già deciso i ruoli dei buoni e dei cattivi fin dapprincipio, in barba a qualunque dovere di verifica.
Decidete voi se la complessità delle ragioni di una scelta così decisiva può essere brutalizzata con questa violenza verbale.
Decidete voi se questo articolo parla di circostanze vere, visto che l’«aborto coattivo» non esiste.
Decidete voi se romanzare una vicenda come questa è legittimo, sensato.
Decidete se è rispettoso dell’onorabilità delle persone di cui parla.
Decidete voi se le motivazioni dei genitori possono essere ridotte a un’etica delle Maldive, dove peraltro nessuno sa se questi genitori siano mai andati.
Decidete voi se si può scrivere tutto questo, parlare di una madre e di un padre (che peraltro pare non sia stato coinvolto nella decisione, ed ecco perché si è reso necessario l’intervento del giudice tutelare) nei termini in cui ne parla questo Dreyfus.
Decidete voi se del disorientamento di una tredicenne qualcuno si può permettere il lusso di parlare in questi termini, e poi invocare una questione di libertà di stampa, sostenuto dai maggiori esponenti della professione giornalistica. Avanti.
Decidete voi se si può scrivere che un giudice «obbliga» all’aborto, come se fossimo sotto Hitler, e non che un giudice «autorizza».
Decidete voi se di una ragazza che forse – mica siamo sicuri, noi, che questo sia vero – viene ricoverata in ospedale psichiatrico si possa dire che «finisce pazza».
Decidete voi che fine fa in questo pezzo la libertà di una donna – o di una ragazzina, per il cui caso la legge dice cose sensate, e chiare, che questo Dreyfus decide di ignorare per asserire il suo punto – di decidere per sé senza essere definita un’assassina dalle pagine di un giornale.
Dove siete, donne?
Dove siete, direttori di giornali che difendete un uomo che ha consentito che sul suo giornale uscisse questa roba e adesso tentate di spiegarmi che poveri direttori, mica si pretenderà che leggano tutto?
Dove siete, direttore di giornali?
Cara direttora dell’Huffington Post, dove sei?
Dove sei, quando uno scrive «aborto coattivo»?
Come potete pensare che il direttore non sapesse niente di questo specifico pezzo?
Questo è un editoriale, per dio.
È un pezzo che dà la linea.
Come può, un direttore, sostenere che non ne sapeva niente?
Come si può sostenere che un direttore sia legittimato a non sapere niente di un articolo simile, per la miseria?
Cosa sa questo signor Dreyfus di quello che è successo al corpo della ragazzina?
Come può scrivere che «si divincolava»?
Era là, lui?
Faceva il suo lavoro di giornalista dentro la sala operatoria?
Che cosa sa, lui, di quello che è successo?
Dei movimenti di quel corpo?
Che cosa diavolo sa?
Perché parla di una storia così privata senza il minimo rispetto?
Chi gliene dà il diritto?
Forse il tesserino dell’Ordine dei giornalisti?
Come fa a sapere cosa hanno pensato i genitori della ragazzina?
Ecco il pezzo, per intero.
Fa venire i brividi. Fa vergognare del tesserino bordeaux. Altro che difesa del diritto di parola. Altro che reato d’opinione.
Costui fa credere che l’intervento chirurgico in cui si conretizza un aborto avvenga «sotto gli occhi di una ragazzina», come se non ci fosse l’anestesia. Come se al supplizio si fosse obbligate a presenziare, come forse agli integralisti tanto piacerebbe: una bella donna, piccola o grande, che urla e sanguina, e che vede un feto fatto a pezzi uscirle dal corpo.
Questa è l’immaginazione malata e perversa di alcuni.
Ma l’hanno letta, questa roba, la sobria signora Severino, il sopraffino signor Monti, il democratico signor Mauro, il signor Travaglio, il signore che scrive sull’Unità, il signor De Bortoli?
L’ha letto, chi blatera di libertà di stampa?
Libero, 18 febbraio 2007
Prima e seconda paginaUna adolescente di Torino è stata costretta dai genitori a sottomettersi al potere di un ginecologo che, non sappiamo se con una pillola o con qualche attrezzo, le ha estirpato il figlio e l’ha buttato via.
Lei proprio non voleva. Si divincolava. Non sapeva rispondere alle lucide deduzioni di padre e madre sul suo futuro di donna rovinata.
Lei non sentiva ragioni perché più forte era la ragione dei cuore infallibile di una madre.Una storia comune. Una bambina, se a tredici anni sono ancora bambine, si era innamorata di un quindicenne. Quando ci si innamora, capita: e così qualcosa è accaduto dentro di lei. Lei che era una bambina capiva di aspettare un bambino. Da che mondo è mondo non si è trovata un’ altra formula: non attendeva un embrione o uno zigote, ma una creatura a cui si preparava a mettere i calzini, a darle il seno.
I genitori hanno pensato: «È immatura, si guasterà tutta la vita con un impiccio tra i piedi».
Hanno deciso che il bene della ñglia fosse: aborto. In elettronica si dice: reset. Cancellare. Ripartíre da zero.
Strappare in fretta quel grumo dal ventre della bimba prima che quell’Intruso frignasse, e magari osasse chiamarli, loro tanto giovani, nonna e nonno. Figuriamoci.
Tutta ’sta fatica a portare avanti e indietro la pupa da casa a scuola e ritorno, in macchina con la coda, poi a danza, quindi in piscina. Ora che lei era indipendente, ecco che si sarebbero ritrovati un rompiballe urlante e la figlia con i pannolini per casa.Il buon senso che circola oggi ha suggerito ai genitori: i figli devono essere liberi, vietato vietare. Dunque, divertitevi, amoreggiate. Noi non eccepiamo. Siamo moderni. Quell’altro che deve nascere però non era nei patti, quello è vietato, vietatissimo. Accettiamo che tutti facciano tutto, ma non che turbino la nostra noia.
Un magistrato allora ha ascoltato le parti in causa e ha applicato il diritto – il diritto! – decretando: aborto coattivo. Salomone non uccise il bimbo, dinanzi a due che se lo contendevano; scelse la vita, ma dev’ essere roba superata, da antico testamento.
Ora la piccola madre (si resta madri anche se il figlio è morto) è ricoverata pazza in un ospedale.
Aveva gridato invano: «Se uccidete mio figlio, mi uccido anch’io».Hanno pensato che in fondo era sì sincera, ma poi avrebbero prevalso in lei i valori forti delle Maldive e della discoteca del sabato sera, cui l’avevano educata per emanciparla dai tabù retrogradi. Che vanno lavati con un bello shampoo di laicità. Se le fosse rimasto attaccato qualche residuo nocivo di sacralità, niente di male, ci vuole pazienza. E una vacanza caraibica l’avrebbe riconciliata dopo i disturbi sentimentali tipici dell’età evolutiva.
Non è stato così. La ragazzina voleva obbedire a qualcosa scritto nell’anima o – se non ci credete – in quel luogo del petto o del cervello da cui sentiamo venir su il nome del figlio. Ma no: non anima, né petto, né cervello.
Le dava dei calci proprio nella sua pancia che le dava il vomîto.
Una nausea odiosa, ma così rasserenante: più antica dell’effetto serra, qualcosa che sta alla fonte del nostro essere. Si sentiva mamma. Era una mamma.
Niente.
Kaput.
Per ordine di padre, madre, medico e giudice per una volta alleati e concordi. Stato e famiglia uniti nella lotta.Ci sono ferite che esigerebbero una cura che non c’è. Qui ora esagero. Ma prima domani di pentirmi, lo scrivo: se ci fosse la pena di morte, e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo e il giudice.
Quattro adulti contro due bambini. Uno assassinato, l’altro (l’altra, in realtà) costretto alla follia.
Si dice: nessuno tocchi Caino, ma Caino al confronto avevale sue ragioni di gelosia. Qui ci si erge a far fuori un piccolino e a straziare una ragazzina in nome della legge e del bene.Dopo aver messo in mostra meritoriamente questo scempio, il quotidiano torinese la Stampa che fa? Mette pacificamente in lizza due pareri. Sei per il Milan o l’Inter? Preferisci la carne o il pesce?
Non si riesce a credere che ci possano essere due partiti. Sì, perché in fondo la vera notizia è questa, e cioè che ci sia un’opinione ritenuta rispettabile e che accetti la violenza più empia che esista: il costringere una madre a veder uccidere il figlioletto davanti ai suoi occhi.
Non c’è neanche bisogno del cristianesimo. Basta l’Eneide di Vlrgjlio, la saggezza classica. L’orrore è quando i greci assassinano davanti agli occhi di Priamo il figlio.Invece qui già ci sono`due partiti. Quello pro e quello contro. È incredibile. Come se fosse possibile fare un bel dibattito sul genocidio: uno si esprime a favore, il secondo è perplesso. Ma che bella civiltà, piena di dubbi.
Come scriveva Giovanni Testori, più battiti e meno dibattiti. Specie quando il battito di un innocente è stato soffocato con l’alibi della libertà e della felicità di una che non sa che farsene, se il prezzo è l’aborto.Questo racconto tenebroso è specchio dei poteri che ci dominano. Lasciamo perdere i genitori, che riescono ormai a pesare solo come ingranaggi inerti.
Ma che la medicina e la magistratura siano complici ci lascia sgomenti. Però a pensarci non è una cosa nuova.
Nicola Adelfi propose, sempre sulla Stampa, l’aborto coattivo, in grado di eliminare i fastidiosi problemi dicoscienza, perle donne di Seveso rimaste incinta al tempo della diossina (2 agosto 1976).Abbiamo udito qualcosa di simile aproposito di lager nazisti e di gulag comunisti. Ma che questo sia avvenuto in Italia e che abbia menti pronte a giustificarlo è orribile.
bello. brava. molto.
Son venuto qua curioso di sapere come avresti commentato. E ho rifiatato nel leggere che non sono solo a pensarla così. E sono molto, ma molto infastidito dalla maniera ipocrita e scorretta in cui questa vicenda viene riportata. Grazie per la tua chiarezza.
Orribile. Ma cosa c’entra Dreyfus?
Grazie, Maso e Nicola.
Sono inorridita e sconvolta.
È orrendo. La mistificazione di questa vicenda è abominevole.
Mi sembra questo il più limpido esempio di antigiornalismo. Credo che chi ha vomitato sulle colonne di un giornale questa poltiglia disgustosa non meriti 14 mesi di galera ma una pena speciale. Se ci fosse la pena dell’allontanamento coatto e perpetuo da ogni redazione di giornale e l’interdizione perpetua da qualsivoglia pubblicazione e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso.
quoto e apprezzo il tuo pensiero, bandamarino
ieri apparivo quasi un becero “antidemocratico”, oggi son felice di averti letto.
https://www.facebook.com/notes/gaetano-marino/dura-lex-sed-lex-ovvero-lo-strano-caso-del-dottor-sallusti-e-dellimprovvisa-scom/10151045544771906
Questo vizio di tappare la bocca agli altri prima ancora che coloro che tappano la bocca abbiano letto ciò che è necessario a farsi un’opinione è veramente troppo diffuso.
Sono contenta di averti fatto sentire meno “solo”, se sintetizzare così è ammissibile.
Grazie del commento, e benvenuto.
Cara, hai fatto benissimo a pubblicare questo articolo di Sallusti. Io ho ascoltato oggi la TV e quasi quasi ho pensato che avesse ragione. Ora so di no, e ti ringrazio per avermi aperto gli occhi. Però, dato che faccio parte di Se Non Ora Quando, ti dico: perchè accusi noi di non esserci? Noi non siamo un servizio pubblico, siamo in 40, e lavoriamo gratis. Siamo aperte, apertissime. Chiunque ci vuole dare una mano, apra un comitato SNOQ, segua pochi criteri (lavorare per temi, non precludere donne di destra o di sinistra perchè su un altro tema che crediamo importante non siamo d’accordo con lei), e diamoci una mano a vicenda. Come hai fatto tu con questo lavoro su Sallusti. Grazie
Ho condiviso questi tuoi pensieri, sentendomi fino a ieri un po’ isolato rispetto al pensiero dominante, e sono stato male leggendo l’articolo ‘di’ Sallusti (perché è suo).
Sono del parere che si cambiano prima le leggi (se prevedono la galera) e non si salvano i potenti. Fosse stato un pensionato che rubava nel supermercato l’avrebbero arrestato, senza raccolta firme, appelli o altro. Allora se si vuole la libertà di stampa si preveda la depenalizzazione del reato, ma non si intervenga solo su alcuni casi, quelli eclatanti. Il problema è che tutti i suoi colleghi giornalisti faranno in modo che questo individuo continui a fare questo mestiere e continuerà a farlo in questo modo, per di più strapagato.
Grazie. Bellissimo articolo e bella penna. Che il nome di Sallusti venga accostato all’idea di libertà di stampa ci dà l’idea dell’abominio (imm)morale in cui il paese è caduto.
oh finalmente leggo ciò che penso da giorni… Grazie!
quante stupidate!!!!! leggete e capite quello che volete capire e scrivete quello che non avete capite. Se va censurato questo articolo dovreste essere censurati anche tutti voi. Questi fasulli “decidete voi” sono in realtà imposizioni del tuo pensiero molto soggettivo e ristretto … che tolgono spazio e diritti di vedere e sentire come ognuno ha libertà di fare ma guidati dal tuo piccolo, piccolissimo pensiero un fascistoso ….
Ok. Ma dov’è la diffamazione? È giusto che i giudici si inventino un reato solo perché l’articolo è ripugnante? E sì, la libertà di parola passa anche attraverso lo schifo.
Ma non c’è un differenza tra esprimere un’opinione e diffamare, distorcendo la realtà per avvalorare la propria tesi? Non è diffamatorio quest’articolo falso secondo loro? Allora perchè i veri giornalisti non s’indignano per un articolo pie
no di falsità? E se permettete anche una certa violenza nei termini, condita da patetica retorica sulla mamma e la bellezza della gravidanza! Perchè in Italia c’è solo una legge: la casta protegge la casta, qualsiasi essa sia! In ogni caso anch’io sono contro la galera, io gli darei una bella pena pecuniaria, per la quale sarebbe costretto ad invitare a cena la Santanchè in una tavola calda e la sospensione di 14 mesi dalla professione, visto che non ne è degno! E sarebbe un sollievo per noi!
Costringere all’aborto chi non vuole è un grave reato, che io sappia, quindi se un giornalista accusa un medico, un giudice e due genitori di aver commesso un reato deve avere delle prove, se le prove non ci sono (e qui non ci sono) è diffamazione a mezzo stampa. Non c’è altro da dire.
Segnalo a chi ha linkato questo blog (Dctb) dall’indirizzo web segnato nel commento qui sopra (politicainrete.it/eccetera…) che il link al sito originario conduce a una pagina in cui non si legge l’articolo a cui si intendeva rimandare.
Ciao, Elisabetta Addis.
Hai ragione, e mi dispiace di aver fatto un unico mazzo.
Lo dicevo pure su Facebook.
Però io ho trovato così brutto l’unanimismo di questi giorni che non ho saputo resistere: mi sono domandata perché con tanta leggerezza tutti hanno protetto Sallusti, compresa Lucia Annunziata, per esempio.
Capisco che siete poche, e che questo faccia la differenza, eccome.
È che ho visto il vostro movimento così sostenuto, così appoggiato, così pubblicizzato dagli stessi quotidiani che ora, a proposito di questa vicenda sconcertante, parlano di libertà di stampa, che mi sono chiesta che senso avesse stare zitte ora per le donne che, in Snoq, hanno grande visibilità pubblica e forse qualche potere (non so: pensavo a Concita De Gregorio, per esempio).
Ecco.
Mi fa molto piacere il tuo commento. Grazie per essere passata di qui. Davvero.
Ps: Loredana Lipperini mi fa notare (grazie!) che Concita De Gregorio non fa parte di Snoq. Chiedo scusa: l’avevo sempre pensato, ma sbagliavo.
Però mi piacerebbe davvero che la voce delle donne dei giornali si sentisse di più, Snoq o non Snoq.
Giovanni, ciao e benvenuto.
Io non penso che la diffamazione vada depenalizzata.
Lo spiego nel post precedente a questo, ma copio qui – ora – il pezzo che spiega il mio perché.
Sono assolutamente contraria alla «privatizzazione» della giustizia.
Per me ha senso che la diffamazione rimanga un reato; che il cittadino e la funzione del giornalista restino protetti dal diritto pubblico, e non dal diritto privato.
Per me ha senso che quando si tratta di stampa le sentenze vengano emesse in nome del popolo italiano.
E siccome non tutti i reati prevedono l’esclusività della pena detentiva (nemmeno la diffamazione, peraltro!), chi sostiene che rendere la diffamazione un illecito civile negoziabile fra le parti nell’oscuro di un’udienza camerale sia l’unica strada per non fare andare in galera un giornalista mente sapendo di mentire.
La seconda cosa che ho da dire è che se la riparazione fosse solo pecuniaria, nessuno pubblicherebbe niente, meno ancora di adesso.
Perché non tutti possono pagare.
Non tutti i giornalisti, e non tutti i giornali.
Questo sì che tapperebbe la bocca.
Sarebbe come dire che possono essere eletti al Parlamento solo coloro che sono ricchi di famiglia, così non rubano.
E da tutto questo discenderebbe un’altra conseguenza.
Una volta che dovesse prevalere un’idea civilistica della diffamazione (ma anche prima, secondo me), finirà che i direttori rimarranno indenni da ogni pretesa giudiziaria: le loro spese se le accollerà eventualmente l’editore (che già secondo l’Unità, come abbiamo visto, è egli stesso alfiere della libertà di informazione), oppure si riuscirà finalmente a istituire per legge la figura del direttore irresponsabile, che già esiste nella realtà anche se i codici, con gran dolore di Valentini e altri, tardano ad accorgersene.
E finirà anche che le colpe – anche in aula, e non solo in redazione – andranno ai singoli giornalisti che sono loro sottoposti, anche quando – magari – il pezzo è stato loro ordinato proprio dal direttore, per esempio.
E finirà che i collaboratori dei giornali non avranno dalle aziende editoriali il pagamento delle spese legali.
E finirà che a poco a poco non l’avranno nemmeno i giornalisti assunti, a meno di clausole particolari ad personam che verranno inserite nel contratto personale di lavoro come un benefit che bisognerà meritarsi, come una progressione di carriera, come un gradino verso l’Olimpo.
Grazie a Dino e Anna.
Siccome mi è stata insegnata la buona educazione, ad Abigail dico solo che non rispondo. Mi è stato anche insegnato, d’altra parte, che molto spesso le cose si commentano da sole.
Karhu, benvenuto (o benvenuta).
Il problema non è che questo articolo possa o no essere ripugnante.
La libertà di parola non c’entra.
Dice la verità?
Non esiste alcuna possibilità di «aborto coattivo» in Italia: sostenere che un magistrato abbia «ordinato» a una donna – maggiorenne o minorenne – di abortire non è solo falso, è anche gravemente falso, perché induce il lettore a credere che una ragazzina o una donna possano essere costrette ad abortire per legge.
Il giornalista conosceva i pensieri delle persone di cui parla?
È legittimo fare di persone vere, e delle loro storie vere, personaggi e canovaccio di un romanzo a tesi che non rispetta la verità dei fatti e inventare i sentimenti di persone che esistono e sono nelle tue mani?
Io ho pensato: e se quella ragazzina fosse stata mia figlia?
E se quella donna fossi stata io?
E se quel medico fossi stato io?
E se quel magistrato fossi stato io?
Se il giornalista fosse partito dal fatto, vero e non mistificato, per esprimere la sua posizione rafforzandola pure con argomentazioni giuridiche o morali, anche contestando la legge o il fatto stesso che l’aborto sia consentito, non sarebbe successo nulla, perché tutto sarebbe stato lecito. E’ preoccupante semmai questo insorgere di direttori e giornalisti, temono forse di essere condannati in futuro anche loro? Basta non violare la legge,come qualunque altro cittadino.
CON LA CONDANNA DI SALLUSTI PER AVER “DIFFAMATO” GIUSTAMENTE UN GIUDICE DI DISCUTIBILE STATURA, SI E’ ORMAI SUPERATO IL COLMO, SI E’ CONSUMATO UN GRAVE DELITTO CHE HA SOMMERSO DI BRIVIDI L’INTERA ITALIA.
HA SUPERATO ANCHE LA PAZIENZA DEI PIU’ MODERATI.
MI APPELLO ALLA SCHIERA DI MAGISTRATI NON POLITICIZZATI, CHE, PUR ESSENDO LA STRAGRANDE MAGGIORANZA, HANNO CONSENTITO UN RISCHIOSO BOOMERANG SU TUTTA LA GIUSTIZIA, GIA’ VACILLANTE NELLA STIMA DELLA NAZIONE.
MI AUGURO QUINDI UN GUIZZO D’ORGOGLIO PER SPAZZARE SUBITO I NOTI ELEMENTI DI DESTABILIZZAZIONE, PROMUOVENDOLI AD USCIERI DI TRIBUNALE – ONORE A SALLUSTI -Leonida.Laconico@Inbox.Com
Leonida, buongiorno.
Usare le maiuscole equivale a urlare, sul web.
La prego di evitare di urlare a casa mia, e credo sia giusto dirle che non avrà una seconda occasione per farlo.
Quanto alle sue affermazioni, non le condivido minimamente, ma credo sia giusto che il suo commento compaia, perché tutti ci possiamo render conto del tipo di argomenti che accompagnano la difesa di Sallusti.
Grazie.
Non si può inneggiare alla pena di morte medico, magistrato e genitori!!
Sulla tragedia un’altra tragedia! Secondo me il sesso maschile non dovrebbe proprio parlarne dell’aborto perché non ci capisce nulla!
I giornalisti comunque hanno il vizio di distorcere la realtà..
Ma cosa e’ successo invece esattamente?
Grazie. Finalmente.
Fiamma, non credo che distorcere la realtà sia un vizio dei giornalisti.
Quantomeno, credo che non sia un vizio che essi possiedono in esclusiva.
I cittadini che leggono hanno tutte le possibilità di sentire suonare un campanello d’allarme di scetticismo, e di non accodarsi al coro.
Occorre fidarsi della propria percezione che qualcosa non torna.
La responsabilità la condividono chi scrive e chi legge, sebbene in grado diverso.
Alessandra, grazie a te!
Ciao, AmericanaTVblog-Andrea…
In effetti, qui mica mi paga nessuno.
E dello stipendio mi sono privata da sola, dimettendomi dal giornale dove lavoravo…
Non siamo noi a dover giudicare se si tratta di diffamazione o no. Comunque Sallusti è stato condannato per questo reato. Mi spieghino i giornalisti di tutte le tendenze perché questa unanime indignazione. Dovrebbero essere esentati solo loro dal reato di diffamazione e perché non anche tutti gli altri cittadini che se riconosciuti colpevoli di diffamazione rischiano come Sallusti? Nulla ha a che vedere, come in questo caso tutta l’informazione vuol farci credere, con la libertà di stampa e di opinione che giustamente deve essere rivendicata. In quanto, invece, la forma della pena è discutibile se questa debba prevedere il carcere. Io penso di no, ma la legge deve essere uguale per tutti giornalisti e non.
” L’orrore è quando i greci assassinano davanti agli occhi di Priamo il figlio “…no, l’orrore è leggere articoli come questi in cui un “giornalista” può dirsi profondamente turbato dalla sentenza di un giudice che ha decretato un “aborto coattivo”, ma contestualmente può scrivere di desiderare la pena di morte per gli adulti che hanno potuto ” costringere una madre a veder uccidere il figlioletto davanti ai suoi occhi”…il problema non credo sia la libertà di stampa, il problema è permettere a chiunque di offendere e violare un privato così doloroso con tanta volgarità
non mi stupisco che il Nostro abbia scritto un articolo così, è bravo con le parole e purtroppo in troppi lo condividono:si sente che non è nè donna nè mamma e direi per fortuna…Quello che mi amareggia è il silenzio delle donne,non particolarmente di SNOQ, che ho frequentato da vicino, prese ora nei propri problemi e nel con chi allinearsi per le prossime elezioni, nel delirio di una donna di “rappresentanza” e di “genere” perdendo di vista l’aspetto sociale generale sempre più distrutto dove non esistono più certezze per nessuno/a. Comunque visto che difficilmente il Nostro varcherà le porte del carcere direi che tutta questa montatura mediatica non ha motivo di esistere.
A tutto questo aggiungerei un elemento non secondario. Nell’iter processuale (anzi, prima) sono state offerte le classiche vie d’uscita utilizzate in questi casi:: su tutte l’articolo risarcitorio di eguale visibilità. Ma Sallusti le ha rifiutate, al punto che oggi ci dice che lui questo processo non l’ha neanche seguito (Feltri arriva a suggerire quasi un “a sua insaputa”).
Scusa, potresti mandare il tuo articolo alla stampa? E a Telefono Rosa Nazionale? Fallo uscire da questo circuito, fallo girare in grande, perchè i giornalisti non si sentano sempre vittime…
@Rita, sopravvaluti il mio potere!
Io posso anche mandarlo, questo post, ma il fatto che esso sia letto, e che una volta letto sia diffuso, non dipende da me!
Grazie della stima, ma più che usare il blog e Facebook non posso fare.
Già le tue parole mi sono di enorme sollievo, e mi fanno sentire meno isolata.
@Andrea, giusto: ha rifiutato le rettifiche…
@Daniela, anch’io sono molto colpita dal fatto che alcune donne che avrebbero potuto dire qualcosa sul fatto che questo era un attacco violento e diffamatorio, e crudele, alla legge che la regolamentato la possibilità di ricorrere all’aborto con tutte le garanzie sanitarie e normative abbiano invece scelto di accodarsi alla sequela di incomprensibili alti lai di Valentini, Mauro, De Bortoli, Fnsi eccetera.
Per esempio Lucia Annunziata, che ha usato toni indignati che secondo me sono fuori luogo.
Non so se a lei sembri corretto dipingere due genitori (l’articolo parla dei due come se non ci fosse fra loro il disaccordo che invece pare ci sia stato) come due imbecilli che si preoccupano solamente di non farsi guastare una patetica vita fatta di noia e consumismo, di «valori forti delle Maldive».
Non so se a lei sembri corretto dire che la ragazzina è diventata «pazza»: ma se la ragazzina ha letto?
Non so se a lei sembri corretto, espressione della libertà di stampa e di opinione, scrivere che un giudice ha obbligato una bambina a vedersi uccidere il figlio, quando invece il giudice ha seguito le procedure fissate da una legge che, se non ci piace, possiamo tentare di cambiare per via politica.
@Grazia, hai ragione.
La morte di un adulto per lavare l’onta di un aborto.
Bello.
@Rosaria, altroché se questa vicenda è estranea alla questione della libertà di stampa! Altroché!
E io penso che se conclusione ci sarà, sarà trovata in una legge che limiterà ulteriormente la libertà dei giornalisti di scrivere, alleggerendo i direttori dalle loro responsabilità.
Credo che questa cosa la spiegherò meglio. Magari in un post…
Sono state zitte le mogli ( Veronica Lario) nuda sul giornale dopo la separazione, zitte le “olgiatine” mentre loro pubblicavano la loro vita privata. Questa è veramente una caccia alle streghe.Come si fa a portare su un giornale una storia così problematica e delicata? Con quali toni è stat commentata? Hanno fatto beme, si meriti una punizione che valga per tutti, potremmo essere noi e le nostre situazioni personali ad essere sbattute in prima pagina, e giuro che non è corretto.
Buonasera Federica, piacere di scriverti finalmente dopo un po’ che ti seguo. Ho letto questo tuo articolo grazie al link di Giulio Mozzi e ho commentato sul suo blog. Ma per correttezza e meritocrazia posto la mia risposta giustamente qua.
Anch’io sono arrivata alla fine dell’articolo e mi è salito un bel grumo di tristezza mista a indignazione: parole bigotte, maschiliste e banali, discorsi da salotto bene.
Parto:
1) nessun uomo sa cosa vuol dire rimanere incinta (Le dava dei calci proprio nella sua pancia che le dava il vomîto.
Una nausea odiosa, ma così rasserenante: più antica dell’effetto serra, qualcosa che sta alla fonte del nostro essere. Si sentiva mamma. Era una mamma). Ma per piacere e la chiudo qua.
2) la diretta interessata ha rilasciato un’intervista? Ho capito male io e correggetemi, ma credo siano tutte deduzioni del giornalista.
3) con le deduzioni ci gioco a shangai.
4) ogni caso è a sé, nessuno ci può mettere bocca, non c’è giusto né sbagliato, vedi caso Englaro: milioni di persone che si schieravano per il sì e per il no senza nessun diritto. Certo che uno può discutere, confrontarsi, parlarne e dare anche un giudizio se se la sente, ma che se lo tenesse per se stesso e di sicuro non scriverne pagine di giornali. Giusto l’aborto? Giusta l’eutanasia? Sono scelte personali, c’è un mondo dietro a quella scelta, fatta di relazioni, conoscenza, spirito, anima, mancanze, passati, menti, dolori, gioie, regole e potrei continuare ma riassumo in vite. Che ne sappiamo noi della vita di perfetti sconosciuti? Il mio giudizio a che gli serve a quelli che devono prendere le scelte di cui tanto discutiamo? Dobbiamo esternalizzare ogni singola situazione privata? Ma noi vorremmo essere trattati come bestie dal resto del mondo per delle scelte che in cuor nostro seppur difficili, sosteniamo, ci crediamo dopo aver passato notti e giorni di belle pensate? Lapidati in pubblico: questo è più umano?
Chiudo altrimenti l’infervorata prende brutte pieghe. Consiglio di ascoltare il cd o leggere il libro di Pietro Archiati, conferenza 2009 o 2010 ora purtroppo non ricordo l’anno preciso in cui Archiati tratta la cosa.
5) montare i casi ormai è routine: giustificazione?
6) 14 mesi, sono tanti? E perché: quelle parole hanno o no fatto male a un’intera famiglia che mica ha chiesto d’apparire sul giornale. Se lo avesse fatto, se avessero preso soldi come la Minetti allora direi sì, ragazzi sti qua son proprio fuori di testa. Ma non è andata così. Certo che stride con le non condanne che qui nel bel paese sfumano al chiarore dell’alba. Questi due giudici presi in causa hanno sbagliato entrambi? Di nuovo, non potremmo mai saperlo, noi siamo al di fuori del gioco consumato da altre parti.
E infine, scrive il giornalista : “Hanno pensato che in fondo era sì sincera, ma poi avrebbero prevalso in lei i valori forti delle Maldive e della discoteca del sabato sera, cui l’avevano educata per emanciparla dai tabù retrogradi. Che vanno lavati con un bello shampoo di laicità. Se le fosse rimasto attaccato qualche residuo nocivo di sacralità, niente di male, ci vuole pazienza. E una vacanza caraibica l’avrebbe riconciliata dopo i disturbi sentimentali tipici dell’età evolutiva”. Laicità moderna vs cristianesimo ormai del passato in questo passaggio? La cosa che mi fa arrabbiare è che io sono cattolica non per eredità ma per conversione e non mi rivedo nemmeno in una virgola di questo passaggio. Che il giornalista parlasse per se stesso e stop, la morale fatta agli altri sono proprio in pochi a permettersela a sto mondo.
Grazie per aver fatto un pò di chiarezza nel pantano che come al solito si crea in queste situazioni. Sono arrivata al Suo blog grazie al link di Loredana Lipperini di oggi. Ora si assiste alla solita gara dei politici per mettere una pezza su un qualcosa che non va bene, ovviamente sempre più urgente della situazione in cui si trova il nostro paese. Come al solito si chiude il recinto dopo che i buoi sono scappati. Mi ricorda tanto le schifezze che sono venute fuori nel periodo della triste vicenda Englaro. Un’altra volta, sempre a spese del corpo delle donne. Sarà una casualità o vogliono vedere fino a che punto possono prenderci in giro?
E come diceva lo Zio William: “C’è del marcio in Danimarca” e io modestamente aggiungo sempre “e non solo lì, purtroppo!” Grazie ancora. Sonia
mistificazione?forse toni accesi ma reali!!!cosa e’ stato scritto per anni contro Berlusconi?la’ non si e’ mistificato niente?chi e’ andato in galera?nessunooooooooooo!!!!!!!ma vergognatevi!!!!son pienamente d’accordo con questo articolo dai toni forti come forte e’ UCCIDERE UN FETO e una BIMBA DI TREDICI ANNI!!!!UCCISA NELL’ANIMA -SVUOTATA-FINITA…VERGOGNAAAAAAAAAAAAAAA
L’articolo in questione mi fa rabbrividire tre volte: come essere umano,come donna,come ginecologa che ha scelto di non essere obiettrice di coscienza.Purtroppo,in questo disgraziato e retrivo paese,la donna è ancora puttana o madonna,madre o assassina. Che amarezza.
ChiaraPi, Sonia, Daniela, Maria Chiara: grazie. È vero. Sempre su di noi. Il senno, la violenza, sempre su di noi.
Valentina, anche a te dico quel che ho detto a Leonida: scrivere in maiuscolo è come urlare. E siccome a me non piace che le persone entrino a casa mia urlando, anche a te dico che non ne avrai una seconda occasione.
Il problema non è essere d’accordo con chi ha scritto l’articolo oppure no. Si può pensare quel che si crede: il punto era provare a vedere se nell’articolo c’era oppure no qualcosa che poteva giustificare una condanna per diffamazione del direttore responsabile.
Io non posso provare la vergogna che lei mi chiede di provare, perché ho cercato di capire.
Lei è contro l’aborto, e va bene.
Ma qui si parlava d’altro.
Daniela, che cos’è la cosa di Archiati che consigli di leggere o ascoltare?
Confesso la mia ignoranza.
Faccio mia ogni riga, ogni parola, ogni lettera, ogni spazio, ogni segno di interpunzione.
😉
Come scritto nei commenti precedenti, credo che aborto, eutanasia, tutto ciò che viva nei margini della propria, privata, sfera emotiva come tale vada rispettata.
Sallusti in galera? Parliamone quando e se realmente un giorno varcherà quella soglia. Un terzo grado di giudizio, quanto basta per credere che ci siano valide ragioni perchè la sentenza venga attuata.
Oltre il processo, mi domando in cosa consista la radiazione dall’albo dei giornalisti. Una medaglia di betulla da appuntarsi sul petto? Un lasciapassare per il parlamento? Quale che sia l’esito giudiziario mi auguro che nel futuro prossimo Sallusti sia costretto almeno a scrivere sotto pseudonimo.. e facciamo anche questo ‘piccolo’ gesto simbolico.. e continuiamo a salvare la forma.. volgare
ALT!
Pare che la maggior parte abbia perso di vista la focalizzazione del vero problema, seguendo la dolce-amara melodia di quelle che risuonano come parole di saggezza. Il punto qui non sta nell’essere in accordo o meno con i toni, forti, anche io lo riconosco, dell’articolo, con quello che esprimono e giudicarli; non credo siamo noi i giusti “magistrati” a doverlo stabilire, né questo forum da salotto il giusto luogo. Il cardine portante delle questione è che non si può negare a nessuno il diritto di “dire”, né tantomeno si può punire chi si avvale di questo diritto, che per inciso, è quello che tutti stiamo facendo scrivendo queste righe, guidati dal proprio senso critico. Motivo per cui questo intervento risulta, non solo fuori luogo, ma pericolosamente fuorviante ad un disattento lettore che è portato così fuori dal seminato. Attenzione.
Matt, buongiorno.
La focalizzazione del vero problema che tu così finemente individui *non* è che non si può negare – nemmeno in un «forum da salotto» – il diritto di «dire».
Delle due l’una, mio attento lettore: o in fatto di diffamazione possono parlare solo i giudici, e allora che nessuno si azzardi a criticare una sentenza, ma visto che noi non siamo i giusti «magistrati» ci rimane il diritto di dire quello che ci pare sul tono di un articolo, sui suoi contenuti, e sul modo in cui vengono trattate le persone (perché è questo ciò di cui si parla); o possiamo cercare di capire se quello che un articolo fa è «dire» o fare a pezzi le persone, ovvero diffamarle.
La focalizzazione del vero problema – mio attento lettore perso in un mare di lettori corrivi e disattenti – è se il pezzo sia, oltre che intollerabilmente retorico (ma questo è secondario), anche diffamatorio e falso.
In rapida successione, alcuni punti.
Per focalizzare il vero problema, intendo (perfino in un intervento fuori luogo come questo)…
1. «[…] costretta dai genitori a sottomettersi al potere di un ginecologo che, non sappiamo se con una pillola o con qualche attrezzo, le ha estirpato il figlio e l’ha buttato via».
Un ginecologo HA ESTIRPATO il figlio.
– Non c’è continenza, anche se il fatto (l’«estirpazione») fosse vera
2. «I genitori hanno pensato: «È immatura, si guasterà tutta la vita con un impiccio tra i piedi».
I genitori hanno definito un «impiccio» un embrione.
Che ne sa lui? Era là? Ci ha parlato?
– Nullifica le motivazioni dei genitori, senza nemmeno averli interpellati, mettendoli indubitabilmente in cattiva luce —> li diffama.
3. «Strappare in fretta quel grumo dal ventre della bimba prima che quell’Intruso frignasse, e magari osasse chiamarli, loro tanto giovani, nonna e nonno. Figuriamoci».
– Viene riconfermato che per i genitori della ragazzina l’embrione è un «intruso»: non sono stati interpellati, ma si attribuiscono loro pensieri e intenzioni che li mettono in luce negativa —> li diffama.
4. «Il buon senso che circola oggi ha suggerito ai genitori: i figli devono essere liberi, vietato vietare. Dunque, divertitevi, amoreggiate. Noi non eccepiamo. Siamo moderni. Quell’altro che deve nascere però non era nei patti, quello è vietato, vietatissimo. Accettiamo che tutti facciano tutto, ma non che turbino la nostra noia».
– I genitori vengono presentati come adulti incapaci di affettività, e attenti esclusivamente alla preservazione di una vita senza significato profondo, dedita alla coltivazione della noia: la figlia poteva fare quel che voleva, purché non restasse incinta: sono proprio due incapaci, quei genitori —> li diffama.
5. «Un magistrato allora ha ascoltato le parti in causa e ha applicato il diritto – il diritto! – decretando: aborto coattivo».
– Il magistrato non ha decretato alcun aborto coattivo per la semplice ragione che l’aborto coattivo non esiste. Esiste una legge che è stata applicata. Può non piacere, ma è così. —> Il magistrato è stato diffamato perché è stato dipinto come colui che ha costretto una ragazzina a venir meno alle sue convinzioni, esercitando un atto di violenza (la costrizione).
6. Ora la piccola madre (si resta madri anche se il figlio è morto) è ricoverata pazza in un ospedale.
Aveva gridato invano: «Se uccidete mio figlio, mi uccido anch’io».
– La ricostruzione non corrisponde ai fatti: Dreyfus non sa se queste sono le frasi che sono state pronunciare; Dreyfus non sa se questi sono stati i sentimenti della ragazzina —> Il fatto è falso, e se anche fosse solo romanzato (cosa che nei pezzi giornalistici non si può fare), è romanzato in quanto funzionale a poter commettere la diffamazione in danno dei genitori e del magistrato (vedi sotto).
7. Hanno pensato che in fondo era sì sincera, ma poi avrebbero prevalso in lei i valori forti delle Maldive e della discoteca del sabato sera, cui l’avevano educata per emanciparla dai tabù retrogradi.
– Il plurale («hanno») si riferisce ai genitori, immagino, che sono tanto vacui e poco spirituali da avere pensato che «i valori forti delle Maldive» sarebbero prevalsi: nullificazione delle motivazioni dei genitori, non interpellati, mancanza di verifica della notizia, sottoposizione dei genitori a una luce diffamatoria.
8. «Niente.
Kaput.
Per ordine di padre, madre, medico e giudice per una volta alleati e concordi. Stato e famiglia uniti nella lotta».
– Qui si suppone addirittura che si tratti di un complotto per «obbligare» la ragazzina ad abortire: nessuno obbliga, non si può obbligare —> circostanza diffamatoria perché attribuisce al giudice (e agli altri) il fatto determinato (falso) di aver costretto la ragazzina ad abortire.
9. Ci sono ferite che esigerebbero una cura che non c’è. Qui ora esagero. Ma prima domani di pentirmi, lo scrivo: se ci fosse la pena di morte, e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo e il giudice.
– Qui c’è l’unica opinione forse – forse – legittima ancorché forte e inaccettabile; ma in ogni caso, rappresenta l’indicazione del giudice, dei genitori e del medico come autori di un’enormità che in un ordinamento che prevede la pena di morte andrebbe punito con la pena di morte. Ne discende che non essendoci la pena di morte andrebbe bene anche l’ergastolo. Ergo: l’autore del pezzo indica genitori, magistrato e medico come colpevoli di un reato da ergastolo. Poiché per l’ordinamento italiano questo non è un reato, qui la fattispecie che ricorre non è la calunnia, ma eventualmente la diffamazione.
10. Quattro adulti contro due bambini. Uno assassinato, l’altro (l’altra, in realtà) costretto alla follia.
– I quattro – giudice compreso – hanno «costretto» una «bambina» alla follia —> L’affermazione è indubbiamente diffamatoria.
11. Sì, perché in fondo la vera notizia è questa, e cioè che ci sia un’opinione ritenuta rispettabile e che accetti la violenza più empia che esista: il costringere una madre a veder uccidere il figlioletto davanti ai suoi occhi.
– «Costringere una madre a veder uccidere il figlioletto» è una cosa che non ha fatto nessuno. —>Non solo l’affermazione è falsa, è anche diffamatoria. Si parla di «omicidio» a proposito di una procedura consentita dalla legge e non rubricata dalla legge come omicidio.
Penso che ciò che ha sollevato gli animi – confesso, anche il mio, senza conoscere il pezzo in questione, assolutamente assurdo e degno almeno di approfondimento da parte di un Direttore Responsabile (sic!) – sia stata la notizia che Sallusti non ha ottenuto la sospensione condizionale della pena, ciò che oggi si elargisce a rumeni assassini e ubriachi quando con un’auto rubata travolgono e uccidono più persone che magari stanno aspettando l’autobus. Tutti i giorni sappiamo di querele verso giornalisti, e dei relativi risarcimenti o smentite. D’altronde chi esercita una professione così importante, agendo in prima linea, può incorrere in errori di percorso. Che però tali devono essere e rimanere. La galera per un giornalista evoca tristi scenari di totalitarismo, posto che in Italia non siamo più da tempo in regime di democrazia. In un Paese in cui la classe politica conclama il nostro diritto a scegliere chi ci deve governare, e poi si smentisce nei fatti; quando possiamo mandare in alto personaggi che hanno orientato il nostro voto con menzogne e trucchi di infimo ordine; quando questi personaggi – che pure abbiamo votato – non hanno mantenuto le promesse, e si sono al contrario rivelati incapaci e laidamente venali: quando insomma non abbiamo più il potere di mandarli a casa, che democrazia è? Saluti.
Buongiorno a te federicasgaggio,
si potrebbe anche condividere tutto ciò che le tue acute osservazioni (e non è ironia) mettono in luce – in realtà non lo farò – ma qui si sfocia in uno scambio di idee ed opinioni, da considerarsi anche edificante e costruttivo. Resta che “delle due l’una”, beh, sarebbero da scegliere entrambe – e così farò. I magistrati (quelli veri) hanno espresso la loro sentenza senza nessun tipo di errore, ma giustamente applicando una legge molto più che opinabile, sicuramente obsoleta. La legge che prevede la persecuzione dei “reati a mezzo stampa” per via penale e non per via civile. Legge che affonda le sue radici nel cosiddetto Codice Rocco (dal nome dell’allora ministro Alfredo Rocco) risalente agli anni ’30. Legge che forse, dopo ormai ottant’anni, avrebbe bisogno di una, per così dire, revisione, per mettersi al passo con le leggi dei paesi occidentali, paesi ai quali anche l’Italia dovrebbe appartenere. Questo è il vero snodo della questione. Se poi si vuole aprire un ulteriore dibattito sui contenuti dell’articolo sarò ben contento di partecipare, ma il presente forum affronta una questione diversa. In galera per aver pubblicato un’idea, nel senso più stretto del termine, non pare umano finirci, almeno non oggi, almeno non in questo paese. Che poi si debba pagare per gli errori commessi nessuno lo nega (o almeno nessuno lo dovrebbe negare), ma in maniera consona ai tempi e luoghi in cui viviamo.
Sul fatto che l’articolo sia un concentrato di idiozia(per non dire di peggio!) sono perfettamente d’accordo con te.
Però vorrei fare una piccola divagazione, visto che la penso come il commentatore sopra(Matt)
Dunque, Sallusti è stato giustamente condannato sulla base dell’art 595 c.p., che stabilisce che “Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate “, e quindi avendo offeso un giudice, s’è beccato il massimo della pena.
Adesso, preso atto che la condanna di Sallusti sia sacrosanta, e perfettamente legittima sulla basa del codice penale italiano, per quale motivo Marco Travaglio, che ha diffamato più volte rappresentanti politici(http://it.wikipedia.org/wiki/Marco_Travaglio#Sentenze_di_condanna ), come il presidente del Senato Renato Schifani, se l’è sempre cavata con risarcimenti pecuniari(oltretutto molto modesti in rapporto al suo reddito)?per quale motivo i direttori delle principali testate giornalistiche italiane, che non fanno altro che diffamare gli avversari politici(e non solo), sono tutti a piede libero?
A quanto pare in Italia si può diffamare chiunque, rischiando al massimo una multa, gli unici INTOCCABILI sono i magistrati!
La questione del «mettersi al passo con i Paesi occidentali» non è di grande interesse, perché è un presupposto ideologico che non significa niente.
Sul perché io – da giornalista – consideri che la depenalizzazione della diffamazione ho già scritto nel post precedente, e in un commento qui sopra.
Non è obbligatorio leggere tutto, me ne rendo conto.
Ma prima di dire che sfugge il «vero punto di focalizzazione» sarebbe sensato sincerarsi se effettivamente esso sia sfuggito alla persona che si critica o alla persona che critica.
Comunque.
Civile/penale.
Copio qui quello che ho scritto in questo post: http://www.federicasgaggio.it/2012/09/cosa-penso-io-del-caso-sallusti/
«Sono assolutamente contraria alla «privatizzazione» della giustizia.
Per me ha senso che la diffamazione rimanga un reato; che il cittadino e la funzione del giornalista restino protetti dal diritto pubblico, e non dal diritto privato.
Per me ha senso che quando si tratta di stampa le sentenze vengano emesse in nome del popolo italiano.
E siccome non tutti i reati prevedono l’esclusività della pena detentiva (nemmeno la diffamazione, peraltro!), chi sostiene che rendere la diffamazione un illecito civile negoziabile fra le parti nell’oscuro di un’udienza camerale sia l’unica strada per non fare andare in galera un giornalista mente sapendo di mentire.
La seconda cosa che ho da dire è che se la riparazione fosse solo pecuniaria, nessuno pubblicherebbe niente, meno ancora di adesso.
Perché non tutti possono pagare.
Non tutti i giornalisti, e non tutti i giornali.
Questo sì che tapperebbe la bocca.
Sarebbe come dire che possono essere eletti al Parlamento solo coloro che sono ricchi di famiglia, così non rubano.
E da tutto questo discenderebbe un’altra conseguenza.
Una volta che dovesse prevalere un’idea civilistica della diffamazione (ma anche prima, secondo me), finirà che i direttori rimarranno indenni da ogni pretesa giudiziaria: le loro spese se le accollerà eventualmente l’editore (che già secondo l’Unità, come abbiamo visto, è egli stesso alfiere della libertà di informazione), oppure si riuscirà finalmente a istituire per legge la figura del direttore irresponsabile, che già esiste nella realtà anche se i codici, con gran dolore di Valentini e altri, tardano ad accorgersene.
E finirà anche che le colpe – anche in aula, e non solo in redazione – andranno ai singoli giornalisti che sono loro sottoposti, anche quando – magari – il pezzo è stato loro ordinato proprio dal direttore, per esempio.
E finirà che i collaboratori dei giornali non avranno dalle aziende editoriali il pagamento delle spese legali.
E finirà che a poco a poco non l’avranno nemmeno i giornalisti assunti, a meno di clausole particolari ad personam che verranno inserite nel contratto personale di lavoro come un benefit che bisognerà meritarsi, come una progressione di carriera, come un gradino verso l’Olimpo».
Magari la questione del «mettersi al passo con i Paesi occidentali» può essere un presupposto ideologico poco interessante ed insignificante per qualcuno, ma non per tutti. Sempre partendo da un altro presupposto, quello appunto che ognuno possa esprimere la propria idea, tanto in un forum da salotto come questo quanto nella vita reale. Se invece la linea di pensiero è quella emersa fino ad ora, secondo la quale la giusta punizione per aver espresso la propria idea è la galera, non mi stupisce che, anche in un forum da salotto, qualcuno possa decide cosa sia significativo e cosa no, cosa susciti interesse o meno. Sembra quasi di essere in una dittatura ideologica, nella quale esiste un’unica verità scelta da qualcuno ed ogni manifestazione di dissenso nei confronti di questa non solo sia inaccettabile, ma anzi punibile….proprio come il lampante esempio che ha fatto nascere tutto questo dibattito.
Va bene, Matteo.
Chiamerò i gendarmi e ti farò arrestare per aver espresso le tue idee in questo salotto dittatoriale.
Non ha senso che tu dica che il punto è sempre altrove, né che io ti stia dietro.
Adesso, sembra che per te il punto stia nel fatto che la giusta punizione per avere espresso la propria idea – stando a questo blog (è un blog, Matteo, non un forum da salotto; non siamo damigelle borghesi che non sanno che diavolo fare della propria vita e discutono con una tazza di tè) – è la galera.
Ora.
Non solo non l’ho mai scritto, ma ho scritto il contrario: ho scritto che la reclusione non mi pare una soluzione.
Non hai letto nemmeno questo, però hai deciso i miei pensieri. Va bene.
Prima, il punto era che non si può processare per le idee.
E allora ti ho detto che non si trattava esattamente di idee: Dreyfus, chiunque, può dire quanto vuole che l’aborto fa schifo. Non, però, che una donna specifica o un uomo specifico sono degli assassini per aver scelto, autorizzato o praticato un aborto.
Se trattare le persone come se Dreyfus ha trattato i genitori, il medico e il giudice – come scrivevo nel commento sopra – è «esprimere idee» e non massacrare l’onorabilità a parole, be’, io non credo di avere molto da dire: mi arrendo e alzo le mani.
E così, dopo, il punto è diventato : civile o penale, codice Rocco…
Io ho scritto quel che pensavo, tu non l’avevi letto e mi avevi detto che avevamo tutti mancato di centrale il punto focale sul quale invece il tuo «ALT» richiamava perentoriamente l’attenzione.
Io ti ho detto che veramente l’avevo già scritto, nell’altro post e nei commenti qui sopra, quel che pensavo della questione civile/penale, ma tu hai deciso che a questo punto era meglio accusare questo blog di esere un forum da salotto dittatoriale che voleva mettere in galera te per le tue idee…
Di nuovo: alzo le mani, mi arrendo.
Va bene così. Non ho altro da dire.
Partirei chiedendo venia principalmente per tre aspetti:
1. per nn aver letto per intero, ammetto, tutti quanti gli interventi (in realtà sicuramente dalla mia comparsa nel dibattito li ho letti tutti);
2. per aver, eventualmente, mal interpretato alcuni passi degli stessi;
3. per aver assegnato erroneamente l’appellativo “forum” a questo “blog”, non essendo molto pratico dell’ambiente in quanto è la primissima volta che intervengo in uno di questi. Confesso inoltre di essere stato catturato da quello che considero un dibattito molto interessante, catturato fino a decidere appunto di intervenire.
Ciò detto, se conveniamo entrambi che delle idee nn si rinchiudono in una galera la nostra linea di pensiero è più vicina di quanto che possa sembrare.
sagnalatomi da un amico di FB
TUTTO giusto e vero.
Ho fatto diversi post, dappertutto su FB e altri giornali on line
se hai voglia li puoi trovare:
volevo cercare di far capire ai cosiddetti “libertari” che per esprimere opinioni ci sono gli editoriali e non gli articoli con notizie false;
ai giornalisti, che il “collega” è un criminale, e che l’unico valore aggiunto di un professionista dovrebbe stare minimo nel “controllo” fatti, separare commenti da fatti e soprattutto chiedere alle persone coinvolte le loro versioni !!! : obbligatorio riportarle nel pezzo, distinte, commentate, ma ci devono essere.
Quindi, a parte la galera che sarebbe un bene per un tipo come lui, soldi: la testata deve rendere una buona parte di soldi pubblici avuti dallo Stato per contributi agli organi di informazione (diritto sancito dalla Costituzione) ma niente affatto osservato da Libero…
Massimo, ciao.
Ma vedi che quello di Dreyfus era un editoriale, e non un pezzo di cronaca.
Il problema è che non conteneva opinioni, ma faceva a fette le persone.
Qui hanno torto tutti.
E’ buffo che la stampa si infiamma se viene condannato un giornalista, ma tace sempre quando in galera ci mandano i poveri cristi. Sallusti si indigna per la piccina costretta ad abortire, ma non si indignava per le sgualdrinelle che il suo padrone si portava a letto impunemente. Se il problema non è il fatto della ragazzina incinta costretta ad abortire (fatto terribile, degno del più efferato nazismo, con tanti complimenti ai nonni – boia), ma la questione della libertà di stampa, ebbene, è l’ora che i giornalisti imparino che non possono scrivere tutte le cazzate che gli passano per la testa. Tanto in galera Sallusti non ci andrà mai, come tutti i suoi compagni di merende.
Francesca, non c’è alcuna relazione fra una ragazzina che abortisce e un gruppo di ragazze che l’ex presidente del Consiglio invitava a casa sua.
È peraltro inaccettabile che tu definisca i «nonni» dei «boia»: ognuno ha le sue ragioni e le sue idee. Non è consentito dare dei «boia» a nessuno: questa si chiama diffamazione, e non vale solo per i giornalisti.
Non sono solo i giornalisti a scrivere tutte le idiozie che passano loro per la testa.
Non ti è consentito dare dell’assassino a nessuno.
“Dreyfus, chiunque, può dire quanto vuole che l’aborto fa schifo. Non, però, che una donna specifica o un uomo specifico sono degli assassini per aver scelto, autorizzato o praticato un aborto.”
Secondo me non ha letto l’articolo come si deve. Lo rilegga, per favore, come una narrazione, come un racconto, non come cronaca (è giornalista, sa la differenza): non c’è nessun nome, non c’è nessun riferimento temporale della vicenda, si conosce solamente il luogo, Torino, e che della storia se ne sono occupati il quotidiano La Stampa ed un magistrato.
Chi? Quando? Dove? Cosa? Perchè?
L’articolo non risponde a queste domande che sono LA BASE della cronaca, perchè l’intenzione non è fare cronaca, ed è firmato con uno pseudonimo (altra BASE della cronaca).
Lei è libera di pensarla come vuole sull’aborto, libera di pensare che un uomo come Sallusti dovrebbe astenersi dal commentare scelte del genere, libera di pensare che sia schifoso che un giornale pubblichi quella roba, può scrivere queste sue idee sul blog, su un giornale, sui muri ma di notte altrimenti le farebbero una multa.
Si chiama libertà di espressione.
Ma se non vuole rischiare di beccarsi una querela deve:
a) omettere fatti e/o circostanze
b) non dire quello che pensa veramente, magari che Sallusti è evolutivamente precedente all’ameba (querela! risarcimento! la mia ONORABILITA’!).
Scelga Lei la peggiore.
Poi mi dica: “ho fatto un ragionamento fascista, simile a quelli che hanno prodotto il codice Rocco”; e non dimentichi che l’aborto era un reato penale prima che l’Italia facesse una conquista di civiltà. Lo sarebbe anche abolire la diffamazione.
Au revoir
La pensavo già come egregiamente argomentato nel post, in via del tutto pregiudiziale, ma mi sono sempre rifiutato di leggere il pezzo in questione e tutto, sinceramente, non sono riuscito nemmeno stavolta. Ma basta e avanza per esprimere una certezza: non ci vuole il carcere per chi scrive e autorizza cose del genere su un giornale, bensì – anche per comitati di redazione o simili – a) l’estromissione immediata e senza appello dall’albo dei giornalisti e l’interdizione perenne, salvo la tutela di un giornalista che se ne faccia responsabile a proprio rischio e pericolo, di esprimere alcunché su un qualsivoglia organo di informazione b) obbligo di rettifica con almeno pari spazio e posizione in più giorni concordata con vittime e giudici c) risarcimento pieno alle vittime e alla collettività.
Detto questo, credo che suggerire la lettura integrale di un tale abominio sia una crudeltà inutile sia nei confronti dei lettori che delle vittime.
Mi sembra veramente curioso, che quando si esercita il diritto di cronaca alcuni ritengono che lo si debba fare prestando attenzione a non scrivere «crudeltà inutili», anche quand’esse siano effettivamente necessarie – e dunque tutt’altro che «inutili» – a spiegare quel che è successo, e anche quando non venga aggiunto un milligrammo di ulteriore «crudeltà inutile», lasciando parlare le parole altrui.
Comunque.
Gli ultimi due commenti sono molto interessanti, per come la vedo io.
Marco – benvenuto – mi invita a leggere meglio l’articolo (ma che tono. Che tono!) , così che io possa finalmente comprendere ciò che mi è – stolta – sfuggito fino ad ora, e cioè che è un editoriale narrativo, poffarre, e non un pezzo di cronaca.
Nell’editoriale – mi si spiega – si può narrare, inventare, romanzare. L’editoriale – mi si spiega – non deve attenersi al vero; non deve preoccuparsi di dirci chicomecosadovequandoperché. Tant’è che qui né il giudice né altri sono riconoscibili.
(Cosa che, tra parentesi, significa pensare che i magistrati che in tre gradi di giudizio hanno condannato Sallusti siano mentecatti o persone così orribilmente prevenute da non aver capito questa cosa così elementare: che Dreyfus stava scrivendo un piccolo romanzo, eccheddiavolo, neanche la libertà di usare la vita vera degli altri per inventare storie di sangue e di violenza, di genitori imbecilli dediti all’etica delle Maldive e medici criminali che costringono a «uccidere» bambini, questo Stato illiberale gli vuole lasciare).
Va bene.
Cominciamo dall’abc.
Chi vuole narrare, romanzare, inventare, scrive un libro. Non un articolo di giornale.
Chi vuole esprimere un’opinione scrive un editoriale, un commento. Che non è una novella o una storia breve di fiction.
Non è il tipo di pezzo che fa la differenza, ma il fatto che il pezzo esca su un giornale.
Se il giornale scrive «la novella», o «romanzo di Dreyfus, prima puntata», tutto bene.
Se il giornale non scrive niente, il lettore deve sapere che sta leggendo un’opinione, non una ricostruzione della realtà che può essere falsa.
Quando, come in questo caso, opinione non è, ma ricostruzione fantasiosa e diffamatoria, cosa dobbiamo fare? Pensare «vabbè, è un romanzo, su»?
Inoltre, Marco, come può sfuggirle che l’editoriale stava accanto a – era a supporto di – un pezzo di cronaca in cui si capiva benissimo di quale storia si parlasse?
Che Dreyfus non abbia scritto nomicognomiindirizzi o inserito dettagli utili all’identificazione delle persone non rileva minimamente: non solo perché in quei giorni tutti sapevano di che storia si trattasse, ma anche perché un pezzo di cronaca chicomecosadovequandocperché, lì accanto, scritto da un giornalista anch’egli condannato, mio caro Marco, spiegava tutto.
Terzo punto: nemmeno un editoriale può essere diffamatorio. Le svelerò un segreto: nemmeno un romanzo può essere diffamatorio.
Certo che io posso pensare quel che voglio dell’aborto. Come Sallusti. Come Dreyfus. Come lei.
Non posso però scrivere che una persona che autorizza o esegue un aborto è un assassino. Non posso però scrivere che una persona a cui la legge – non altri – conferisce l’obbligo di dover intervenire in queste vicende, ha «costretto» qualcuno a uccidere qualcun altro, e reso «pazzo» qualcun altro.
La parte della legge 194 relativa all’interruzione di gravidanza di donne minori è qui, gliela copio:
Si può pensare che si sarebbe potuto fare in un altro modo invece che così, ma non si può scrivere che chi ha seguito questa procedura è un assassino, Marco.
Questa si chiama diffamazione. Non opinione, o libertà di stampa, o manifestazione del pensiero.
Quanto al fatto di abolire la diffamazione (che lei dice, senza spiegare perché, sarebbe un passo avanti nella direzione della civiltà), invito nuovamente a riflettere su queste circostanze:
a) anche ora è possibile comminare sanzioni pecuniarie in alternativa alle sanzioni che prevedono la privazione della libertà personale.
Per averne la prova non è solo sufficiente andarsi a leggere la formulazione dell’articolo 595 del codice penale, ma anche domandarsi come mai i giornalisti che risultano essere stati arrestati in esecuzione di una pena per il reato di diffamazione si contano, nella storia dell’Italia repubblicana, nel numero di uno (in realtà ce n’è anche almeno un altro di cui nessuno parla, ma è un’altra faccenda).
b) rendendo di rilievo civilistico il rapporto fra ipotetico diffamatore e ipotetico diffamato, si sottrae alla pubblicità dell’udienza penale qualcosa che ha a che vedere con un problema insorto non tra due privati cittadini, ma fra un cittadino a cui l’ordinamento di questo Stato conferisce sostanzialmente in esclusiva il diritto-dovere di dare notizie (e di questa cosa deve rispondere allo Stato, ai lettori, E all’eventuale diffamato) e un cittadino la cui onorabilità va ipoteticamente ristorata.
In quale modo il pagamento di una somma mi ridà l’onorabilità?
Casomai, mi risarcisce un danno. Ma un processo pubblico come quello penale – e non un’udienza camerale a cui il pubblico non è ammesso, e di cui un giornalista terzo potrebbe non riuscire a informare i cittadini – è quello che pubblicamente ristabilisce la possibilità di ristorare una lesione all’onorabilità.
Tanto più, che come prima dicevo, la legge consente l’irrogazione di sanzioni pecuniarie.
c) Se diventa una questione di soldi e basta, il risultato (la conquista di civiltà! La conquista di civilità!) è che i giornali poveri decideranno di non pubblicare mai notizie «a rischio» che abbiano però la caratteristica di essere importanti per la conoscenza pubblica di fatti altrimenti inconoscibili.
d) Se diventa una questione di soldi, il potere di editori/direttori sui singoli giornalisti diventa enorme. Con buona pace del dovere del giornalista, che è quello di scrivere anche cose che sono contrarie all’interesse del suo editore. Non per niente – al di là dell’interpretazione modernamente «manageriale» che molti direttori danno ora al loro ruolo; manager con responsabilità altrui, però – il direttore responsabile è un giornalista, e in teoria dovrebbe soggiacere alle stesse regole valide per ciascuno dei suoi sottoposti, ivi compresa quella che obbliga il giornalista a dare anche notizie contrarie all’interesse del suo editore.
Finirebbe che se gli editori decidessero di non pagare più per conto dei loro redattori le spese legali e i risarcimenti danni, i giornalisti potrebbero dire ancora meno di quel che possono dire adesso.
Bel risultato, la censura.
Bello, non rendersi conto che già adesso le pene pecuniarie possono essere irrogate in sostituzione di quelle detentive.
Bello, fare delle battaglie di principio senza domandarsi cosa consegue al principio.
Bello, fare battaglie di principio per de-responsabilizzare i direttori responsabili, di talché i veri responsabili civili (e penali? Resisterà, come reato, la diffamazione?) saranno solo i «piccoli».
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A St-ef, che saluto, vorrei solo dire che i comitati di redazione non hanno «simili». Sono organismi sindacali di rappresentanza interna che – come l’aggettivo «responsabile» potrebbe già suggerirci – non hanno né possono avere alcuna «responsabilità» maggiore a quella del «direttore responsabile».
Ci mancherebbe altro che per una cosa fatta o omessa dal proprio direttore responsabile dovesse pagare un sindacalista.
Il tuo articolo fa il paio con quello di Farina, quanto a furia ideologica. Colpisce come lo scandalo oggi non sia l’aborto, ma il semplice fatto di parlarne.
L’aborto non è uno scandalo è un diritto; le persone che si scrivono cose come le tue invece sono scandalose.
Daniele Mont, lo scandalo non è il fatto di parlare d’aborto.
La questione – e non lo scandalo – sta nel fatto che parlarne come ne ne ha parlato Dreyfus è diffamatorio.
Quanto alla furia ideologica, lascerò perdere.
Solo una cosa: io sono infinitamente meglio di chiunque abbia scritto quel pezzo.
Ricambiando il saluto, mi scuso per la castroneria dovuta alla mia ignoranza sul tema. Era solo per suggerire la peraltro problematica ma forse proficua utilità di un controllo dal basso nelle redazioni col favorire per legge coloro che al loro interno prendessero le distanze da simili scempi (quando come in questo caso l’evidenza c’è già, abbondante; in altri può essere difficile sapere se un collega informa o distorce tanto da diffamare).
Credo che l’apparentamento al commento che ha preceduto il mio sia dovuto all’aver io asserito che la richiesta di lettura sarebbe una crudeltà inutile. Ripensandoci e considerando il popolo dei “difensori della libertà d’opinione” (anche diffamatoria e non, si badi, su un media satirico bensì tale da pretendersi di “informazione”), mi pare possa essere stato utile capire cosa difendevano. A parte che a me è parsa, se non una violenza inutile, una inutile contemplazione della violenza, ai limiti del voyeurismo delle tragedie, ragion per cui ho smesso di seguire il consiglio di chi ha scritto solo cose sacrosante e fidedegne, avevo pensato alla povera famiglia coinvolta. Ma ho sbagliato: a parte che ci si può auspicare che abbiano potuto elaborare l’esposizione tremenda che dovettero subire a causa di ignobili falsità e che il vederla riportata per esser giustamente contestata non può forse nemmeno far loro più male che bene, sulla falsariga della stessa preoccupazione, per non esporli ulteriormente all’ignominia subita, il giudice non avrebbe dovuto nemmeno denunciare.
Semmai ho strumentalizzato io la loro sofferenza per giustificare il rifiuto di un disgusto per me inutile. Me ne scuso.
St-ef, tutto a posto, per carità. Come prima.
Il «controllo» dal basso è difficile per una lunga serie di ragioni, prima fra tutte la questione gerarchica. Come può un redattore ordinario controllare il direttore?
I rapporti interni alle redazioni sono molto complessi.
Prima o poi ne scriverò, però.
Quanto al pezzo, è inevitabile – penso – confrontarsi con il testo, se si vuole ragionare intorno a quel che la vicenda di Sallusti ha avuto di ideologico, di falsato, di «sballato».
Non si può capire senza aver letto.
Grazie della risposta. Proprio perché è ai limiti dell’impossibile ma sarebbe utile penso che incentivi e tutele legali per giornalisti coraggiosi sarebbero utili. Ma sarò molto curioso di leggere della realtà effettiva.
Quanto al pezzo, non dubito che a qualcuno che abbia tenuto conto della verità processuale possa esser stato utile leggerlo integralmente (può ben far insorgere il dubbio che nessuno possa scrivere tali invettive senza una loro presunta fondatezza, senza una convinzione in buona fede che, dato il rifiuto di ritrattare, deve ai suoi sostenitori rimanere plausibile nonostante la versione ufficiale; nel qual caso non sarebbe diffamazione, ma aggressione verbale nei confronti di autorità effettivamente criminali, con molte sfumature di plausibilità per l’ignaro lettore data la drammaticità della situazione e la ipotizzabile confusione e fragilità di una ipotetica preadolescente). Se si è certi che sono falsità, certezza che però viene da altre fonti, la loro lettura è effettivamente un pugno nello stomaco. A me però non ha aggiunto nulla, così come non cambierebbe nulla, per valutare un delitto con prove schiaccianti e circostanze chiarissime, assistere alla sua ripresa video integrale.
L’articolo, per me, è ripugnante.
In più punti urta la mia sensibilità, la mia concezione del mondo, la mia idea di rispetto della persona. Ed è evidente che è stato scritto per istigare proprio questo: odio, istintivo e viscerale, in chi ha sensibilità diciamo “opposta” alla mia, non certo per rappresentare nel modo più oggettivo possibile un evento accaduto.
E’ quindi una elaborazione in assoluta malafede: perchè non si tratta di opinioni/opinabili, ma di bugie manifeste.
Quel che abbiamo saputo dopo (che l’autore è un giornalista già espulso dall’ordine e nemmeno potrebbe scrivere, e che -dopo aver saputo in modo inoppugnabile che quel che avevano scritto era pura menzogna – non hanno sentito il bisogno di chiedere scusa – accettando l’improbabile tesi che l’articolo sia stato scritto a “informazioni incomplete”: ma se NON SAI, perchè INVENTI?) conferma questa percezione.
Ecco, una volta percepito questo, il ruolo di quel giornalista e di quel direttore diventano a mio avviso insostenibili. E indifendibili.